“Servire lo sport, non servirsi dello sport”. Un concetto semplice, lineare. Poche parole che fanno la differenza. Soprattutto quando la tua vita diventa una specie di missione al servizio degli altri.
Parlare con Franco Castellano, classe 1933 (il 14 dicembre festeggerà 90 anni) equivale ad iniziare un’avventura nella memoria, una ricerca archeologica sportiva che diventa il romanzo di una vita, in cui tutti possiamo riconoscerci. Anche se non abbiamo condiviso in diretta avvenimenti e protagonisti ma siamo convinti della validità di quelle poche parole.
Lo sport di Franco Castellano, atleta, dirigente, giornalista, scrittore, è tutt’uno con la pallacanestro – il suo grande amore – e con la società ginnastica Angiulli, uno dei club centenari del capoluogo pugliese. Lui, ancora oggi, è il punto di riferimento per l’articolata famiglia sportiva fatta di storie, figure, aneddoti di un mondo in continua evoluzione.
Castellano, uno dei padri fondatori delle Stelle al merito, ci spiega qual è il senso dell’Ansmes nel Terzo millennio, in occasione della prima storica elezione del Comitato regionale della Puglia: “Innanzitutto la forza dell’esempio legata all’impegno. Di chi si rimbocca le maniche e lavora concretamente, perché in giro ci sono troppe chiacchiere da bar. La differenza tra il dire e il fare è fondamentale”.
Come nacque l’intuizione di dar vita alle Stelle al merito?
“Il 4 giugno 1986 era un mercoledì. L’Italia sportiva seguiva distratta il Mondiale di calcio. I ragazzi di Bearzot a Messico 1986 avevano pareggiato con la Bulgaria e si preparavano ad affrontare l’Argentina di Maradona. Bari era baciata del sole come è consuetudine nel mese di giugno. C’era un gruppo di sognatori, di idealisti se vogliamo, impegnato a trovare una via d’uscita, concreta, finalizzata a valorizzare quel patrimonio di ideali universali tipico dello sport. Volevamo qualcosa che ci rappresentasse per sempre”.
Perché proprio la stella?
“Nell’immaginario collettivo è sempre un simbolo positivo. La stella è energia, speranza, eternità ma anche luce e libertà. E poi alimenta i nostri desideri”.
Non era tutto così facile o scontato?
“Bari ha reso possibile l’impossibile. Siamo i custodi di una tradizione costruita in quasi quarant’anni di attività sul territorio nazionale, mettiamo al servizio di tutti competenze, esperienze e professionalità, lavoriamo per abbattere l’indifferenza che spesso ostacola o frena la crescita e la diffusione dei valori dello sport nelle giovani generazioni. Per noi questo è motivo di orgoglio. Penso che meritiamo un applauso collettivo che ci consenta di guardare con fiducia al futuro”.
Le Stelle non dimenticano, però, il passato.
“Assolutamente no. Siamo impegnati in prima fila nella intitolazione di strade, piazze e giardini a quanti hanno dato tanto e rischiano di finire nell’oblìo. A Bari, ad esempio, abbiamo intitolato, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, tutti gli impianti sportivi cittadini a campioni del passato. Anche ogni entrata dello stadio San Nicola è legata al nome di un calciatore del Bari”.
Il cruccio di Franco Castellano?
“Non essere riuscito a realizzare un museo dello sport stabile nella mia città. La memoria e la conoscenza hanno un grande nemico: il tempo, il cui decorso tende a cancellarle o comunque a sfumarle. La nostra società brucia pensieri, azioni ed emozioni a tempo di record.
Allora dobbiamo fare in modo che la conoscenza della memoria si arricchisca e si diffonda sempre più, metta delle radici solide, sia considerata un fondamentale strumento di crescita. Purtroppo spesso i luoghi e i segni della memoria non hanno il dovuto risalto”.
C’è il rischio che l’Ansmes sia una specie di circolo esclusivo?
“Il numero di benemerenze assegnate dal Coni dimostra il contrario. Ogni anno vengono deliberate 870 Stelle a dirigenti e società e 315 Stelle e 85 palme per il mondo paralimpico. Numeri ai quali bisogna aggiungere le medaglie al valore atletico, i collari d’oro al merito sportivo. Il problema non è il merito, ma l’impegno una volta ottenuta la benemerenza che rappresenta un punto di ripartenza, non d’arrivo”.