Il mito del mezzofondo, il re senza corona australiano, a Hobart il 16 gennaio 1965 ha tolto due decimi di secondo al primato del mondo dei 5000 metri che il marinaio ucraino Vladimir Kuts aveva firmato un giorno di metà ottobre del 1957 in uno stadio Olimpico di Roma già euforico in vista dei Giochi del 1960 con 13’35”0. A Hobart, in Tasmania, nell’estate australe, Ron Clarke quel giorno ha corso secondo i suoi schemi: ha seguito il ritmo stabilito per prendersi il primato in solitudine seguendo l’istinto e il programma. Era solo, a Hobart, tanto che il secondo arrivato, Anthony Cook, aveva appena cominciato il suo ultimo giro mentre lui già festeggiava.
Ritmo ben stabilito, 2’43” e 2’44” per ogni chilometro accelerando alla fine per coprire gli ultimi mille metri in poco meno di 2’40”. Aveva ritmo, Ron, ma non lo spunto finale, lo sprint per duellare con l’avversario. È stato, quel record di inizio anno, il primo di una stagione straordinaria. Ron Clarke, che è scomparso all’età di 78 anni a Gold Coast il 17 giugno 2015 per problemi ai reni dopo aver lottato a lungo con guai al cuore, nel suo tour europeo di quel fantastico 1965 ha corso 18 gare realizzando 12 record del mondo con il migliore, se così possiamo definirlo, nei 10 mila metri sulla magica pista del Bislett di Oslo con 27’39”4 con un progresso, rispetto al precedente primato, di 36”, primo pedone ad abbattere il muro dei 28 minuti. All’arrivo è svenuto, e si è temuto il peggio. Ed è svenuto anche, finendo in ospedale con qualche timore, dopo l’arrivo - solo sesto - dei 10 mila della finale olimpica di Città del Messico 1968. Era il favorito in quei Giochi, ma l’altitudine, nonostante un lungo periodo di allenamento sulle Alpi, lo ha messo kappaò lasciando agli africani (il keniano Naftali Temu, l’etiope Mamo Wolde e il tunisino Mohamed Gammoudi i primi tre) le medaglie. Uscito dall’ospedale, Ron Clarke ha detto di non ricordare nulla di quella gara («solo un grande buio», ha affermato allora) prima di presentarsi al via nella batteria dei 5000 metri senza trovare gloria in questa distanza che aveva corso, nel 1966, in un “moderno” 13’16”6 - ovviamente primato del mondo - a Stoccolma.
Nella sua carriera, nella quale non ha raccolto gemme dorate in competizioni globali - solo il bronzo nei 10 mila alle Olimpiadi di Tokyo 1964 - Ron Clarke ha collezionato 17 record mondiali dalle 2 miglia ai 20 chilometri. Amava i record, le galoppate contro il cronometro ma nelle competizioni per la medaglia non ha mai saputo tradurre la sua forza in oro.
Giovanissimo, a 19 anni, Ron Clarke è stato scelto per essere l’ultimo tedoforo alle Olimpiadi di Melbourne 1956: era un mezzofondista di grande futuro. È un mito dell’atletica, perdente ma pur sempre un mito e proprio per questo, per non essere stato capace di vincere quando c’era da conquistare un titolo, Ron Clarke è diventato una leggenda. Nella vita, dopo i fasti dell’atletica, ha messo a frutto il suo valore diventando un grande uomo d’affari e poi, dal 2004 al 2012, sindaco di Gold Coast, città della Costa del Pacifico, dove ha chiuso la sua esistenza.
Carlo Santi
Le puntate precedenti
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