Poco più di 128 minuti e una manciata di secondi sono bastati a Gelindo Bordin per vincere la maratona di Boston il 16 aprile 1990. Il campione olimpico di Seul 1988 ha migliorato il già suo record italiano con 2 ore 08’19”, record che aveva fatto suo sempre a Boston due anni prima con 2 ore 09’27” finendo allora al quarto posto. Maratona assai dura questa di Boston. Difatti, lasciata Hopkinton, si attraversano le cittadine di Ashland, Framingham, Natick e Wellesley (dove si supera la metà gara). Si entra poi nel comune di Newton, caratterizzato dalle Newton Hills, una successione di quattro salite che culmina con la Heartbreak Hill, la collina spaccacuore, quindi si entra a Boston per arrivare al traguardo posto vicino alla John Hancock Tower in Copley Square.
Quel giorno di aprile del 1990 sono stati, come capita sovente, gli africani a prendere il comando della corsa e in testa c’era colui che era il favorito, Juma Ikangaa, tanzaniano. Bordin era nei pressi con i panni del cacciatore pronto a sparare al momento giusto. Dopo 5 chilometri il distacco dal battistrada che procedeva con altri cinque fuggitivi era di cinque secondi (14’04” contro 14’09” dell’azzurro). Nulla cambiava nulla nei secondi cinque chilometri se non il distacco di Gelindo che è cresciuto, 28’44” contro 29’02”. Non sembrava, in quel passaggio, che Bordin potesse ricongiungersi ai battistrada che cercavano, ciascuno di loro, la vittoria che valeva assai - tra premi e sponsor quasi mezzo miliardo di vecchie lire - correndo tutti al limite delle proprie possibilità. Sempre su quei ritmi, sempre avendo cura di non essere superati, i battistrada si sono avvicinati a metà gara e Bordin era sempre al loro inseguimento senza però mai forzare, ma attendendo l’attivo giusto. In ogni caso, Ikangaa ai 21 chilometri era da solo transitando in 1 ora 01’01” mentre Gelindo era attardato: 1 ore 02’41”.
Alle pendici delle colline spezzacuore, che sono il timore di chi corre a Boston nel terzo lunedì di aprile fin da quando la maratona - anno 1887 - è nata, c’è il momento della verità. Non si può più scherzare, chi ne ha può correre verso il traguardo, gli altri sono destinati a recitare il ruolo delle comparse. Come in un sogno, ecco il super Gelindo: corre, è implacabile, riprende tutti e in un lungo rettilineo vede la sagoma di Ikangaa. Lo agguanta nei 400 metri in salita e il tanzaniano quasi di colpo cede lo scettro. Da quel momento è corsa solitaria. Gelindo Bordin, solo con i suoi pensieri, ha la compagnia del tifo che lo incita, scandisce il suo ritmo, lo scorta fino al traguardo che raggiunge, come abbiamo detto, in 2 ore 08’19” mentre Ikangaa è staccatissimo, secondo in 2 ore 09’52”.
Giorni felici a Boston, giorni belli per Bordin e giorni belli per lo sport. Qualche anno più tardi la storica maratona e con essa tutto lo sport è stata vittima di un attentato. Il 15 aprile 2013 due ordigni piazzati nei pressi del traguardo, in Boylston Street vicino a Copley Square, hanno causato la morte di tre persone tra cui un bambino di otto anni ferendone almeno altre 264.
Carlo Santi
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