LINEE GUIDA Progetto ANSMES 2024
Sport Linguaggio Universale: inclusione e multietnicità
Introduzione
Lo sport è un fenomeno sociale massificato che investe trasversalmente la vita degli uomini e delle donne contemporanee. Il ruolo sociale dello sport all’interno della collettività è sempre più confermato da numerose branche della conoscenza. È, infatti, un agente di salute individuale e pubblica, è un dispositivo privilegiato per i processi trasformativi e antropologici degli esseri umani (soprattutto in età giovanile), promuove il benessere sociale di chi lo pratica e rappresenta un volano economico imprescindibile della nostra società.
La diffusione dello sport all’interno delle nostre comunità è dovuta principalmente alla facilità d’uso e alla sua grande capacità di coinvolgere fisicamente ed emotivamente i partecipanti. L’espressione e la rappresentazione del corpo all’interno dei contesti sociali ne ha garantito una diffusione senza precedenti a livello mondiale. Grazie alla sua facilità di comunicazione ha raggiunto in un tempo relativamente ristretto tutti i continenti, rappresentando per la nostra società un grande contenitore sociale. Nonostante ciò, la partecipazione dei gruppi marginalizzati si attesta su livelli mediamente più bassi della popolazione generale, a causa della presenza di numerose barriere fisiche, culturali o comunque immateriali.
In questa trattazione cercheremo di affrontare tre possibili soluzioni prima in forma distinta e poi come soluzione integrata attraverso i temi ANSMES:
1. Lo sport come linguaggio universale dei popoli e delle culture
2. Lo sport come dispositivo privilegiato per l’inclusione sociale delle persone
3. Lo sport come agente ed espressione della multietnicità e del cambiamento sociale
Lo sport come linguaggio universale dei popoli e delle culture
Il linguaggio del corpo è la base delle capacità ed abilità espressive e si estrinseca in primo luogo nelle relazioni personali. Si esprime attraverso un proprio codice tipico, che viene considerato da diverse teorie della comunicazione universalmente valido. Analizzando il fenomeno del linguaggio dello sport si possono individuare tre aspetti salienti:
1. Il linguaggio non verbale dello sport, ovvero il corpo come mezzo per comunicare.
2. Il linguaggio verbale dello sport, ovvero i regolamenti e le norme sportive.
3. Il linguaggio mediato dello sport, ovvero la comunicazione attraverso i mass media e i social media.
Il linguaggio non verbale dello sport, ovvero il corpo come mezzo per comunicare.
Il corpo rappresenta uno strumento di comunicazione naturale e immediato per il regno animale nel suo complesso. Dalla danza delle api allo “Schiaccianoci” di Čajkovskij, gli esseri viventi, ivi compresi gli uomini, hanno usato e usano il corpo direttamente o indirettamente per comunicare con i propri simili o con gli esseri intorno a loro. La comunicazione sociale si esprime attraverso diversi gesti e segnali codificati, che sono stati scissi in forme di comunicazione volontaria (il saluto) o involontaria (come lo spavento). Queste modalità di relazione sono state poi modellate dalla cultura locale e hanno assunto le forme attualmente in uso. Seppur diverse culture nei secoli abbiano elaborato un proprio set di gesti rituali ed espressivi, si è ipotizzato l’esistenza di “cinemi”, ovvero movimenti base comuni a tutte le culture. In particolare, le emozioni e la vasta gamma di espressioni facciali trovano ampia diffusione in tutte le popolazioni del globo a prescindere dal contesto storico o da quello culturale.
Uno dei primi segnali corporei per la comunicazione sociale è proprio il contatto corporeo, che è intuitivamente la prima forma di mediazione delle emozioni e dei bisogni. Il nascituro si lega alla madre in un abbraccio protettivo e caloroso, mentre la stretta di mano sugella vicinanza e aiuto. Alcuni gesti hanno assunto un proprio significato comune e facilmente interpretabile, come i segnali convenzionali (si pensi alle braccia alzate in segno di resa). Inoltre, lo spazio e la distanza del corpo, ovvero la prossemica, nonché la sua postura del corpo sono inquadrabili come forme di comunicazione rafforzativa o esplicativa della situazione in atto. In questo senso il corpo è attivo costruttore, anche involontario alle volte, delle relazioni tra le persone e ne condiziona l’esito. Un linguaggio del corpo asincrono rispetto alla dimensione verbale infonde insicurezza e perplessità in chi riceve la comunicazione. Una persona che vuole trasmettere calma, ma usa un tono alto della voce e fa sentire la presenza del corpo nella conversazione, probabilmente non raggiungerà il suo obiettivo.
In questo senso lo sport, con i suoi gesti tecnici e le modalità di comunicazione corporea dirette o indiretta, è una vera e propria palestra di comunicazione. Lo sport è, infatti, carico di una gestualità e di segnali codificati tipici sia del movimento nel suo complesso che correlati alla disciplina.
Ciò è dovuto principalmente grazie all’azione dei neuroni specchio (Rizzolatti, 1992) che si attivano sia durante la finalizzazione di un movimento sia quando si guarda un movimento fatto da un’altra persona. La funzione di questi neuroni è sollecitare gli stessi neuroni coinvolti nel movimento che si sta osservando. In questo modo l’osservatore immagazzina indirettamente il movimento facilitando la sua replica. Questo meccanismo è alla base dell’innata capacità di apprendimento di imitazione e rappresenta per l’uomo e per numerosi primati una fonte primaria di conoscenza del proprio e dell’altrui corpo soprattutto in età evolutiva.
Il linguaggio verbale dello sport, ovvero i regolamenti e le norme sportive.
Tuttavia il linguaggio dello sport non si limita alla semplice espressione corporea e gestuale, bensì “si intende il linguaggio ideato, creato e sviluppato intorno all’olimpismo, quindi il linguaggio dello sport, della competizione sportiva, del gioco, nonché dei valori e degli ideali validi in ogni contesto culturale, a cui si ispirano i giochi, tra cui soprattutto quelli di fratellanza, solidarietà, amicizia, uguaglianza, coraggio, onore, gioia, lealtà, pace e rispetto per l’avversario” (Murrmann, 2016).
I regolamenti rappresentano la differenza fondamentale tra gioco e sport, tra l’aspetto ludico-giocoso e quello agonistico-sportivo, poiché sono chiari e facilmente interpretabili da chiunque prenda parte alla competizione. Le regole disciplinano non solo le interazioni e le relazioni interpersonali tra gli atleti o i giocatori, ma soprattutto disciplinano il movimento stesso attraverso la figura di terzietà e imparzialità dell’arbitro o del giudice.
Riassumendo si possono trovare nel regolamento due macrocategorie di regole. La prima è la parte invariante che rappresenta lo scheletro del gioco trasformato in sport, in cui si trovano anche gli aspetti etico-sociali. Esistono, infatti, diversi approcci valoriali in funzione delle dinamiche sportive, dei riti e del contesto storico-culturale della disciplina. La seconda è invece una parte che non cambia lo sport o, se la cambia, ha un obiettivo migliorativo o costruttivo.
Come le norme e le leggi, anche i regolamenti hanno un aspetto trasformativo. In genere il processo di cambiamento ha diversi obiettivi, tutti ugualmente validi, che possono riassunti come di seguito:
1. Migliorare lo spettacolo e il coinvolgimento degli spettatori in presenza e (soprattutto) a distanza.
2. Tutelare la salute degli atleti o dei partecipanti in senso largo alla gara.
3. Regolamentare situazioni, gesti, o materiali nuovi oppure permetterne ancora una volta quelli usati in passato.
4. Sperimentare in contesti appropriati cambiamenti piccoli ma radicali del regolamento.
Uno dei documenti fondamentali del linguaggio dello sport risiede, infatti, primariamente nella Carta Olimpica, che rappresenta la Costituzione dello Sport a livello mondiale. La Carta, comprese le successive modifiche, si pone infatti come un baluardo dello sport e ne rappresenta i valori e i principi che lo governano, coordinando il movimento olimpico internazionale e favorendo la diffusione dei principi fondamentali di tutti gli sport. Come suggerisce la Murrmann (2016), la Carta rappresenta un analogo della nostra Costituzione poiché contiene i principi generali e le norme che regolano la vita democratica sportiva e federativa degli sport. ll senso dello sport risiede infatti nell’universalità delle regole universalmente e implicitamente ritenute valide dagli stessi partecipanti. Tutti i partecipanti alle Olimpiadi devono sottostare alla Carta, giurando espressamente di rispettarla. Questa può sembrare una banalità o, per certi versi una forzatura del sistema sportivo, ma in realtà rappresenta la forza del sistema sportivo, che con la grande intuizione di De Coubertin tenta di internazionalizzare lo sport e rendere valide le sue regole in tutti i continenti.
Il linguaggio mediato dello sport, ovvero la comunicazione attraverso i mass media e i social media.
Il linguaggio del corpo è intrinsecamente legato per sua stessa natura alle immagini e ai video. Lo sport e il medium (inteso come radio, televisione, internet, realtà virtuale, etc.) si sono sostenuti sempre reciprocamente fin dall’inizio ed ormai sono in reciproca sinergia. Gli interessi economici legati alla diffusione dei diritti sportivi sono una realtà consolidata a livello internazionale.
Come evidenziato precedentemente l’uomo conosce il mondo guardandolo o imitandolo grazie ai neuroni specchio. Le immagini e la trasmissione delle gare rappresentano tutt’ora lo strumento privilegiato di fruizione dello sport, influenzando spesso le scelte di modifica del regolamento tecnico.
Lo spostamento moderno del medium, dalla classica televisione ai modern social netwotk, sta influenzando anche la fruizione dello sport. A causa di un’impostazione tarata su un basso range attentivo, sta cambiando anche la fruizione dello sport stesso. I video corti, gli highlights, la “giocata” trovano ampio spazio nei canali social, alterando in certi aspetti la natura delle competizioni e mascherando il forte impatto fisico messo in gioco dagli atleti. Questo fa sembrare tutto lo sport come estremamente facile, concentrabile, allenabile e, se da una parte permette di avvicinare maggiormente i ragazzi allo sport, dall’altro può creare false aspettative sui risultati ottenibili dal giovane atleta.
Lo sport come dispositivo privilegiato per l’inclusione sociale delle persone
Lo sport è riconosciuto come un dispositivo privilegiato per l’inclusione sociale (Magnanini, 2018), grazie agli innumerevoli benefici bio-psico-sociale (ICF, 2001), spesso intrinsechi alla partecipazione stessa alle attività sportive. Numerosi documenti internazionali e nazionali richiamano l’importante funzione dello sport come agente dell’inclusione dei gruppi marginalizzati o svantaggiati. Tuttavia, nella letteratura scientifica di riferimento emergono diversi elementi critici. Il primo è la definizione di partecipazione, ovvero quando si può affermare che l’individuo stia effettivamente partecipando e usufruendo dei benefici delle attività sociali. In secondo luogo, la distinzione tra inclusione sportiva e inclusione sociale tramite lo sport. In ultima analisi, urge una definizione di persona o gruppo che sia in qualche modo marginalizzato rispetto alla società e in cosa sia escluso rispetto ad una condotta sociale “normale” o “regolare” (p.e. si pensi al ruolo delle donne italiane nel primissimo dopoguerra).
La partecipazione ai contesti sociali è l’aspetto primario di qualsiasi processo inclusivo o integrativo, poiché senza di essa non si può materialmente prender parte a qualcosa insieme agli altri. Se questo risulta abbastanza intuitivo, non sono di immediata comprensione altri aspetti dirimenti della partecipazione.
1. L’intensità del coinvolgimento.
Prendere semplicemente parte a qualcosa in un contesto sociale è una condizione necessaria
ma non sufficiente per sentirsi inclusi.
L’individuo può far parte di una squadra ma restare in panchina per tutta la stagione.
2. Ruolo attivo/passivo del coinvolgimento.
La persona può partecipare in un’attività decisa da altri o, al contrario, aver contribuito al processo
decisionale, regolativo o realizzativo.
L’individuo è costruttore del proprio destino e sente di avere le redini della sua vita.
(Chi decide dove va la carrozzina?)
3. Sentirsi valorizzato nel coinvolgimento.
“La partecipazione implica il gioco, la collaborazione, la possibilità di scegliere, di avere
voce in capitolo.” (Index for Inclusion).
L’individuo in questo caso si sente pienamente realizzato attraverso l’attività sociale, riconoscendone
il valore per sé e la sua comunità.
La partecipazione alle attività sportive non deve essere confusa con l’inclusione nelle attività sportive. Ad esempio, in ambito pedagogico speciale, si fa un’importante distinzione in termini di partecipazione tra le attività inclusive e le attività per l’inclusione sociale. Un’attività inclusiva si inspira a diversi principi fondamentali come l’educazione inclusiva e l’inclusive design, secondo i quali un’attività è veramente inclusiva se tutti vi partecipano in maniera equa apportando il proprio attivo contributo in un contesto sociale meno segregato possibile. Eventuali bisogni vengono colmati da una corretta pianificazione e da una “architettura” attenta dell’ambiente di gioco. In questo senso, ad esempio, la partecipazione delle persone con disabilità alle attività sportive non dovrebbe avvenire solo con altre persone con la medesima disabilità, o appartenenti a categorie simili (p.e. tutti gli individui con menomazioni all’arto superiore). Questo, infatti, creerebbe una nuova forma di esclusione, poiché segrega l’individuo in un contesto appositamente creato per la persona con disabilità, isolandola dalla comunità dei “normodotati”, vanificando quindi in ultima analisi l’obiettivo dell’inclusione. Nella realtà dei fatti, tuttavia, la maggior parte delle attività inclusive nasce proprio a partire da specifici bisogni o per permettere la partecipazione a gruppi sociali che altrimenti non potrebbero accedere a quel determinato contesto sociale.
Kiuppis (2016) evidenzia come l’inclusione nel setting educativo differisce da quella nel contesto sportivo; nonostante le premesse siano uguali (“la partecipazione di tutti e la rimozione di tutte le forme di pratiche esclusive”), cambia in modo radicale la possibilità di aderire o meno. Il setting educativo è obbligatorio e formalizzato mentre quello sportivo è a libera adesione. Diversi studiosi (Spaaij, Magee e Jeanes, 2014) notano che “quando si parla di inclusione nello sport è importante tenere presente che la non partecipazione non equivale all'esclusione sociale, poiché questa si verifica quando le persone vogliono partecipare ma non possono farlo”. L’esclusione, quindi, non si estrinseca nella non-partecipazione ma nell’impossibilità di partecipare. Semplificando la persona con disabilità che gioca a sitting volley può comunque sentirsi inclusa, nonostante stia partecipando ad un’attività che, secondo la ricerca pedagogica, può sembrare principalmente esclusiva. In aggiunta, queste attività sportive svolte dalle persone con disabilità riducono fortemente l’isolamento e la marginalizzazione perché sono i primi tramiti dell’offerta sportiva per le persone con disabilità.
Nell’ambito della letteratura sportiva pedagogica è utile ricordare, infatti, che già esiste una classificazione, chiamata, “Inclusion Spectrum” (Black e Stevenson, 2012).
Questo approccio “activity-centred” (centrato sull’attività) riguarda principalmente le persone con disabilità ma può essere applicato dato il suo carattere generale a qualsiasi alterità che impedisca di fatto la partecipazione. Secondo gli autori, ogni attività può essere impostata secondo un approccio più o meno inclusivo. Gli allenatori o gli organizzatori dell’attività possono modellarla utilizzando diversi fattori: la composizione del gruppo, la natura dell’attività, l’ambiente, le attrezzature e il numero degli allenatori.
L’Inclusion Spectrum classifica le attività a partire dal continuum delle attività ((Spaaij, Magee e Jeanes, 2014) e le divide in:
1. Open.
Nelle attività aperte, tutti svolgono la stessa attività con adattamenti minimi o nulli all'ambiente o
alle attrezzature.
Le attività aperte sono per loro natura inclusive, in modo che l'attività si adatti a ogni partecipante.
2. Modified.
Nelle attività modificate, tutti partecipano alla stessa attività ma lo spazio, le regole, le attrezzature
o il modo in cui i giocatori interagiscono sono adattati per promuovere l'inclusione a prescindere
dalle capacità individuali.
3. Parallel.
Nelle attività parallele, sebbene i partecipanti seguano un tema comune, lo fanno al proprio ritmo e livello
lavorando in gruppi in base alle loro capacità.
4. Separate.
L'approccio dell'attività separata sottolinea che, in alcune occasioni, può essere meglio per un giovane
praticare sport individualmente o con coetanei di abilità simili
5. Disability Sport.
Le attività sportive per disabili possono essere viste come una "integrazione inversa", in cui i giovani
non disabili sono inclusi negli sport per disabili insieme a coetanei disabili.
Queste attività sono ordinate dalla più inclusiva, quindi che tende in un progetto utopico a escludere meno persone possibili, a quelle meno inclusive, quindi che offrono contesti separati o specifici.
Il protocollo per rendere le attività più inclusive possibili è lo STEP model, che interviene su quattro dimensioni fondamentali per garantire l’accessibilità delle proposte sportive che, come sottolineato prima, sono lo “Space” (spazio), Task (Compito motorio), Equipment (le attrezzature) e People (ovvero gli allenatori formati per garantire l’inclusività delle proposte.
Lo sport come agente ed espressione della multietnicità e del cambiamento sociale
Per completare l’analisi preliminare è utile restringere il campo dei partecipanti di cui ci andremo ad occupare nella presente trattazione. Gatzweiler et al. (2011) descrivono la marginalità come "la posizione e la condizione di un individuo o di un gruppo ai margini dei sistemi sociali, politici, economici, ecologici e biofisici, che impediscono loro l'accesso a risorse, beni e servizi, limitando la libertà di scelta e impedendo lo sviluppo di capacità". Nella società contemporanea la marginalità è spesso individuata in letteratura nelle “persone povere, anziane e disabili, nonché minoranze sessuali, persone con un passato di migrazione o richiedenti asilo” (Lange, 2024).
Nel caso specifico della presente trattazione ci occuperemo della multietnicità, che in Italia ha visto una storia relativamente diversa rispetto agli altri paesi europei, data la sua brevissima storia coloniale e la sua forte emigrazione interna ed esterna. Soltanto negli ultimi decenni, infatti, il dibattito politico e culturale si sta accendendo il tal senso, portano alla luce un fenomeno migratorio con un andamento solo in apparenza ondulatorio ma che, nel lungo periodo, risulta stabilizzato. L’Italia, infatti, non è soltanto punto di arrivo ma, a causa della sua posizione geografica, punto di approdo e di transito.
Lo sport rappresenta, seguendo un approccio biopsicosociale, un agente della multietnicità e del cambiamento ma ne è anche espressione. Ciò implica, come per l’inclusione sociale, una doppia valenza dello sport che può essere una cartina di tornasole della reale accettazione dell’altro e un mezzo per farsi accettare. In Italia il fenomeno degli atleti stranieri è ormai ampiamente consolidato ed esposto alla luce del sole. Si interviene spesso in quest’ambito restringendo o allargando le maglie del numero massimo di stranieri concessi all’interno dei vari campionati. Tuttavia, nessuna misura è risultata efficace nel contenere il fenomeno e che oggi sembra accettato da tutti gli attori coinvolti.
Allo stato attuale tutti gli stranieri residenti in Italia rappresentano una stima variabile tra il 7-8% sulla popolazione generale, ma va tenuto in considerazione che esistono grandi concentrazioni di nazionalità nelle grandi città come Roma e Milano o nelle zone ad alta industrializzazione o comunque che hanno bisogno di un alto numero di manodopera.
La scuola, vista la tradizione inclusiva dell’educazione italiana, risulta essere il contesto sociale che maggiormente può dare un’idea complessiva del fenomeno. Secondo i dati del MInistero dell’Istruzione nell’anno scolastico 2022/23 gli studenti stranieri iscritti risultano 889mila nelle scuole pubbliche e private. Nelle scuole statali dell’infanzia la percentuale è del 13,4% mentre in quelle primarie del 14%. In numeri assoluti gli studenti stranieri sono 110mila nella scuola dell'infanzia, 316 mila nella primaria, 182mila nella scuola secondaria di primo gradoa e 206mila nella scuola secondaria di secondo grado. Il fenomeno della concentrazione nelle grandi realtà cittadine o industriali del nostro paese si riflette anche nel sistema scolastico dove nelle scuole, definite in maniera semplicistica di “prossimità”, si arriva a punte del 20-25% di studenti stranieri.
Tuttavia, il fenomeno migratorio è nel complesso una matassa abbastanza intricata e stratificata. Presenta diverse criticità e numerosi aspetti di difficile interpretazione e di stima del fenomeno. Innanzitutto, proprio per definizione, non è chiaro il fenomeno degli irregolari, cioè di coloro che non sono in possesso di documenti o non sono facilmente inquadrabili.
Ci sono palesi barriere linguistiche dovute non solo alla moltitudine di nazionalità, ma anche alla presenza di numerosi dialetti che rendono difficoltoso un inquadramento della popolazione di una stessa nazione.
I fenomeni migratori rappresentano in tutti i contesti nazionali e internazionali un tema politico divisivo tra chi vorrebbe i confini aperti, coloro che vorrebbero una regolazione dei flussi e chi li vorrebbe definitivamente chiusi. Un altro aspetto cruciale è il riconoscimento non omogeneo dello status della cittadinanza a livello internazionali tra lo ius sanguinis, lo ius soli o lo ius scholae. Va fatto, poi, un doveroso distinguo tra lo straniero residente di prima generazione e quello di seconda generazione, i quali presentano numerosi aspetti differenti e non vanno interpretati con lo stesso paradigma.
Secondo Malizia (2008), la letteratura scientifica di riferimento evidenza, inoltre, un certo disorientamento dell’identità nello straniero residente in un altro contesto nazionale. Partendo da un’interpretazione socioculturale del fenomeno migratorio, lo straniero residente può sviluppare diverse fasi dicotomiche di attaccamento o di distacco rispetto alla cultura locale:
1. Separazione/Resistenza.
Il primo incontro con la cultura locale porta ad un processo identitario rispetto a quella di appartenenza.
2. Mondo di mezzo/Assimilazione.
L’individuo vive un dualismo tra le due culture, sentendosi parte di entrambe ma di nessuna in particolare,
o comincia un processo di assorbimento della cultura di destinazione.
3. Marginalizzazione/Inclusione.
L’individuo esprime sentimenti di distacco rispetto alla cultura dominante e subisce, soprattutto in contesti
di minoranze, un processo di esclusione dai processi partecipativi attivi (non decide) o passivi (non può
neanche partecipare) oppure si sente pienamente incluso nei processi decisionali, regolativi e sociali.
4. Doppia etnicità/Apolide.
In questa fase l’individuo sente di possedere “troppa patria” o di essere parte di nessuna, un “senza patria”.
Queste fasi non sono presentate in ordine cronologico o biologico e possono intercorrere in diversi momenti della vita, presentandosi in forme miste o complementari.
Infine, le motivazioni, riguardanti la decisione di partire o di risiedere in un altro paese rispetto a quello di origine, sono molto sfaccettate e possono portare ad esiti completamente diversi. Il fenomeno migratorio dovuto alla guerra è quello forse più accentuato dai media, ma rappresenta solo una quota parte di tutto il fenomeno.
L’alto tasso di disoccupazione o la ricerca di una migliore qualità della vita è un’altra importante causa di spostamenti. Come sottolineato precedentemente esiste in tutti i contesti nazionali un fenomeno migratorio interno che porta maggiori concentrazioni in determinate aree industriali e lavorative, come le grandi città. Tra le motivazioni si può trovare anche il ricongiungimento con i propri familiari o con gli affetti personali, gli spostamenti fatti in nome della formazione scolastica o universitaria, o maggiori possibilità di occupazione lavorativa o di lavori stagionali periodici.
A ciò si aggiunge un fenomeno migratorio verso un altro contesto nazionale interno all’Unione Europea che è normato dal patto di Schengen o che parte da fuori la Comunità Europea e regolato dalle leggi internazionali e nazionali del contesto di arrivo/approdo. L’esistenza di queste norme interne o esterne agli accordi di Schengen si riflettono anche nelle norme del contesto sportivo italiano e internazionale. Ed è proprio la mobilità in ambito sportivo una delle motivazioni che vale la pena approfondire in questa trattazione.
La mobilità ai fini sportivi è, infatti, un tema ampiamente regolamento dalle norme nazionali ed europee. Per i lavoratori sportivi entro gli accordi di Schengen, a seguito anche della sentenza Bosman, c’è una sostanziale libertà di trasferimento senza vincoli in quanto è garantito la mobilità di lavoratori, beni e servizi all’interno della Comunità Europea. Per gli sportivi extracomunitari, invece, ci sono diverse restrizioni all’ingresso e un sistema di quote stabilito a priori dagli organismi regolativi sportivi, nonché le norme relativi ai minori e alle richieste eventuali di permessi di soggiorno.
TEMI ANSMeS
In quest’ultimo paragrafo si cecherà di trovare una sintesi tra i concetti trattati precedentemente, ovvero lo sport come linguaggio universale, come dispositivo di inclusione e di multietnicità.
Come sottolineato in precedenza l’utilizzo dello sport come strumento di coesione sociale è ampiamente dettagliato in letteratura, ma la sua funzione non è importante solo come strumento d’innesco dei processi inclusivi, ma può essere utilizzato come benchmark di riferimento degli stessi contesti sociali. Sono noti, infatti, gli effetti benefici bio-psico-sociali dello sport, ma la partecipazione dei gruppi marginalizzati stenta a decollare. Donne, poveri, persone con disabilità, stranieri (solo per fare qualche esempio) partecipano in maniera nettamente inferiore rispetto alla loro popolazione di riferimento praticamente in ogni contesto nazionale.
Da questo nasce una doppia finalità dello sport.
Da un lato lo sport può darci l’idea di dove è la nostra comunità di riferimento dal punto di vista dell’inserimento, dell’integrazione e dell’inclusione delle persone all’interno dei contesti sociali, di cui lo sport è sicuramente quello più partecipato nell’attuale contesto storico.
Dall'altro lo sport può essere usato come strumento per raggiungere l’utopia inclusiva della nostra società contemporanea. È indubbio, difatti, che lo sport possegga al suo interno dinamiche sostanzialmente inclusive, ma queste non sono scontate né immediate e necessitano di un approccio educativo e di un’esplicita finalità di cura e di attenzione ai bisogni delle persone coinvolte.
Di seguito vengono proposti i temi ANSMES per il progetto “Sport linguaggio universale: inclusione e multietnicità”.
“Fratellanza nello sport”. Lo sport si configura come un agente di formazione personale e collettiva ai valori dell’inclusione e dell’integrazione sociale. Promuovere o implementare le attività sportive all’interno di un contesto sociale deve partire sempre dall’ascolto dei bisogni della comunità, nel suo insieme o da una più alta prospettiva, oppure dall’ascolto delle sue comunità maggioritarie e minoritarie che la compongono. In questo senso creare proposte e offerte sportive sia generali che specifiche per determinati gruppi minoritari potrebbe configurare quel continuum di proposte separate, integrate e inclusive che permettono una più vasta e profonda partecipazione dei singoli individui. Nel concreto sono quindi necessari interventi “separati” specifici per i singoli gruppi sociali marginalizzati; a queste vanno aggiunte proposte di attività sportive mediate per lo scambio culturale per innestare i cosiddetti processi di contaminazione ed integrazione nelle discipline e tra le discipline sportive; infine, deve essere garantito il diritto di tutti di partecipare alle attività sportive agonistiche e/o inclusive al fine di costruire nell’alto livello un percorso meritocratico nel primo caso e di partecipazione collettiva nel secondo.
Le attività inclusive possono essere agonistiche (e viceversa) ma questi modi di vivere lo sport hanno finalità diverse che vanno esplicitate ad inizio del progetto.
“La lingua dello sport”. Uno dei problemi della nostra società (definita da molti “dell’informazione”) è proprio la difficoltà di comunicare e relazionarsi con il prossimo. La facilità di comunicazione del corpo può essere usata per affiancare processi di formazione linguistici del contesto di approdo/arrivo, implementando attività di didattica incorporata, learning by doing, laboratori esperienziali o forme di apprendimento mediato dal corpo. Queste attività si concentrano sul corpo come mediatore didattico dell’attività e lo rendono protagonista e mezzo di un apprendimento superiore.
“Giocando, si educa”. E si può giocare, educando al tempo stesso. Lo sport come strumento educativo e valoriale possiede un grandissimo potenziale, al punto che diversi studiosi ne hanno rimarcato l’importanza come necessaria funzione antropologica. Il potenziamento delle Scienze Motorie nei contesti di scuola primaria e l’accrescimento dei potenziamenti degli indirizzi sportivi nelle scuole superiori testimoniano la necessità di movimento finalizzato anche nei contesti educativi formali e la richiesta di sport di famiglie e discenti. Nei contesti educativi formali si possono promuovere diverse buone pratiche aderenti, ad esempio, ai principi del fair-play, del rispetto reciproco, l’accettazione dell’altro (lotta al razzismo, inclusione delle minoranze e delle persone con disabilità) e di senso di appartenenza ad una comunità, come quella scolastica, che rappresenta il punto di riferimento principale giovanile.
“Diamoci una regolata”. La forza comunicativa dello sport risiede nell’adesione incondizionata alla Carta Olimpica e al regolamento sportivo specifico della disciplina. Nessun altro ente regolatore al mondo riconosce una tale adesione alle regole, ponendo al contempo in atto principi di democrazia interna ai massimi livelli. Si rendono quindi necessari interventi di condivisione e di conoscenza del regolamento dello sport al fine di uniformare più possibile i vari contesti sportivi e ridurre al minimo le eventuali interpretazioni. Questo può prevedere nel concreto: approfondimenti sui regolamenti per sé e sulla loro ontologia, dibattiti specifici su determinate regole, proposte di miglioramento del regolamento, proposte innovative e/o radicali per migliorare la spettacolarizzazione dello sport e la sua fruizione. I confronti non dovrebbero essere chiusi al settore arbitrale ma riguardare anche atleti, allenatori o dirigenti.
“Raccontami la tua storia”. Favorire i metodi narrativi e il racconto di sé sono strumenti di conoscenza diretta ed immediata, espongono l’io all’altro, generando reciprocità ed interesse. Attività esperienziali di conoscenza possono essere esplicitate all’interno dei contesti sportivi anche in forma giocosa o ludica e rappresentano uno step importante per la formazione dei gruppi squadra e societari.
Nello sport queste attività sono state implementate e sviluppate in moltissime discipline e contesti, ma faticano ancora in una maggiore sistematicità. Attraverso la formazione dei tecnici e delle figure dirigenziali è possibile costruire un set di attività di conoscenza e/o di sinergia dei gruppi. I metodi narrativi o esperienziali sono inoltre molto flessibili e possono essere esportati facilmente anche nei contesti lavorativi che necessitano di interdipendenza positiva tra i componenti del gruppo di lavoro o dell’organizzazione intera. Sono inoltre molti usati per far conoscere una comunità minoritaria, o per spiegare al grande pubblico cosa e perché sta succedendo quel determinato evento.
“Lo sport di arrivo”. In numerosi contesti di arrivo dei migranti sono presenti di Centri di Permanenza per migranti e richiedenti asilo. Queste strutture sono dieci in Italia, con una capienza teorica di più di 1.300 posti, dimezzato a poco più di 600 però negli effettivi a causa dei danneggiamenti (Fonte: Viminale). La ristrutturazione non solo architettonica, ma anche dei servizi offerti, potrebbe avere il duplice scopo di migliorare le condizioni di accoglienza (e non essere soggetti a procedure di infrazione per le condizioni detentive da parte della Comunità Europea) ma anche il vissuto esperienziale e sociale dei migranti. Nei centri di accoglienza la comunicazione e le barriere linguistiche risultano uno dei problemi principali. Lo sport, in quanto strumento di comunicazioni diretta e immediata favorirebbe un clima migliore all’interno di queste piccole comunità e, se impostato in un'ottica educativa, potrebbe creare un primo ponte formativo.
“La politica sportiva”. Come visto precedentemente, non c’è un’omogeneità a livello europeo sullo ius sanguinis, soli, scholae, ma in vista di un maggiore integrazione europea, è necessario uniformare quanto più possibile le politiche a livello comunitario per non creare sbilanciamenti nei flussi migratori, riconoscendo l’importanza dei paesi coinvolti, sia di approdo che di arrivo. A livello nazionale ci sono diversi strumenti come la cittadinanza onoraria per meriti sportivi del Presidente della Repubblica che riesce però a includere gli sportivi stranieri solo quando partecipano a livello internazionale e la naturalizzazione. Il processo di naturalizzazione italiano fa leva esplicitamente sullo ius sanguinis, cioè sul diritto di sangue, con le seguenti eccezioni:
Straniero residente da almeno 3 anni con un genitore o un ascendente in secondo grado italiano.
Straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano residente in Italia da almeno 3 anni
Straniero che presta servizio per lo Stato italiano da almeno 5 anni.
Straniero maggiorenne nato in Italia con residenza da almeno 3 anni.
A questa complessità si aggiunge anche il fatto che il tesseramento federale, ovvero “la cittadinanza” sportiva, può seguire a volte normative più inclusive della nazione di riferimento, ma che poi si vanno inevitabilmente a scontrare con il sistema normativo del contesto di origine. Ciò preclude la partecipazione di molti ragazzi e ragazze valevoli nei contesti di selezione nazionale a danno sia della loro crescita che della nazione stessa. In tal senso negli ultimi anni si è vista un leggera evoluzione del fenomeno di riconoscimento della cittadinanza per gli atleti di interesse nazionale, ma molto ancora deve essere svolto in tal senso.
“Facciamo Squadra”. La continuità delle attività sportive è un processo dirimente per la qualità dell’offerta di comunità. Se si innestano, infatti, processi periodici e non stagionali o meramente annuali, la proposta sportiva si rende valida con il tempo e acquista valore intrinseco per la comunità stessa. Questa è una condizione necessaria al fine di instaurare un’ulteriore identità per l’atleta straniero, appunto quella atletica o di sportivo. La continuità può essere implementata attraverso un processo di formazione tecnica, trasformando l’atleta in allenatore o dirigente raggiunta la maggiore età, favorendo il passaggio necessario per l’identità sportiva da atleta ad allenatore. Centri per l’impiego e istituzioni che si occupano di lavoro potrebbero favorire la diffusione e il coinvolgimento delle realtà lavorative sportive implementando una serie di strumenti volti all’inserimento lavorativo della popolazione straniera come tecnici, giudici di gara, allenatori, dirigenti o imprenditori.
“Stringiamoci a tavola”. L’alimentazione, special modo nel contesto italiano, non soddisfa esclusivamente un mero bisogno di nutrimento, ma esplica un’importante funzione sociale. Il cibo può esso stesso diventare uno strumento di condivisione e di conoscenza dell’altro, nonché un momento di aggregazione sereno ed altamente informale che rafforza i legami tra gli individui. Il cibo è anche scambio culturale e una forma implicita di arricchimento personale.
Approvato dal Consiglio Nazionale del 12 aprile 2024
Bibliografia
Gatzweiler, F. W., Baumüller, H., Husmann, C., & von Braun, J. (2011). Marginality: Addressing the root causes of extreme poverty (No.77). ZEF Working paper series. https://doi.org/10.2139/ssrn.2235654
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